Ma chi me lo fa fare? Come il lavoro ci ha illuso: la fine dell’incantesimo – Colamedici e Gancitano

Autori: Andrea Colamedici e Maura Gancitano

Editore: harper Collins

Anno: 2023

Pagine: 248

Genere: saggio

Dopo aver letto l’interessantissimo “Specchio delle mie brame” ed essere rimasta entusiasta della scrittura brillante, ben argomentata e scorrevole della Gancitano, ho pensato di leggere anche questo saggio, dato che le riflessioni filosofiche, psicologiche, storiche e sociologiche  su come la nostra società viva il lavoro mi affascinano sempre. La lettura del libro mi ha confermato tutto ciò, offrendomi innumerevoli spunti di riflessione.

Di base, la domanda è: come è potuto succedere che anziché lavorare tutti e lavorare meno, in modo da poter avere una sussistenza per vivere serenamente e nello stesso tempo avere il tempo di dedicarci alle persone e alle cose che amiamo, siamo finiti schiacciati dalle ore di lavoro?

Se pensiamo che la motivazione sia il bisogno di sicurezza economica e, talvolta, la volontà di accumulare profitto, siamo fuori strada. O meglio, costituisce solo una parte delle motivazioni che hanno portato a questo modo di concepire il lavoro.

In effetti una causa scatenante, inutile nasconderlo, è il sistema capitalistico in cui viviamo. Come scrive Berardi: “Piacere (vissuto nel reale) e desiderio (generato nell’immaginario) hanno bisogno l’uno dell’altro: ma fino a oggi il capitalismo ha innescato il nostro desiderio con costanti promesse di piacere senza mai lasciarci il tempo di fruirne davvero, perché ogni istante va impiegato esclusivamente nel ciclo infinito di competizione, accumulo e desiderio”.

Altro aspetto: siamo stati lentamente ma inesorabilmente convinti che “se vuoi puoi”; se solo ci si impegna, si studia, si fa gavetta, si è intelligenti e perseveranti, si può riuscire ad ottenere una posizione di rilievo e un’agiatezza economica. L’implicito è che, se si vuole, si può effettuare il passaggio da una classe sociale all’altra. Tuttavia, stando ai dati, sembra che non ci sia nulla di più falso, soprattutto per le ultime generazioni. Dall’avvento del neoliberismo, di fatto, “le disuguaglianza economiche e sociali sono più ampie che mai, ed è sempre più difficile cambiare la propria condizione, salvo rare eccezioni”.

Gancitano e Colamedici mettono in luce anche quanto oggi ci sia un vero e proprio stigma dell’ozio: il diktat, che tutti – chi più chi meno – introiettiamo è che dobbiamo essere sempre produttivi, competitivi, efficaci. Essere indaffarati ha acquisito un valore morale indiscutibile. Essere pigri, inaffidabili o non avere voglia di lavorare sono accuse da evitare ad ogni costo. Paradossalmente anche nell’impiego del tempo libero.

Questo si collega ad un ultimo punto che vorrei mettere in evidenza: gli autori ci dicono quanto il lavoro sia diventata una questione identitaria: un modo per rafforzare la propria immagine di sé e ottenere la stima degli altri. Ma altresì un modo per riempire di senso la vita, “per giustificare in qualche modo la propria vita sulla Terra”. “La narrazione oggi imperante vuole che la presenza e la produzione di senso passino esclusivamente attraverso l’ambito lavorativo, come se soltanto in quel versante fossero presenti le possibilità per una fioritura integrale dell’essere umano. Soltanto trasformando ogni lavoro qualsiasi in un lavoro amato si potranno trovare gioia, soddisfazione, realizzazione”.

Come sarà già chiaro, mi sento assolutamente di consigliare questo libro a tutti, in particolare a chi si sente invischiato nelle dinamiche descritte e ha maturato una Sindrome di Stoccolma aziendale, ossia “un senso di lealtà e sottomossione a un’azienda che, sotto le mentite spoglie della famiglia, finisce con il risucchiare tutte le energie, i sogni e le possibilità del dipendente”.

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